Gaetano Catanoso
(1879-1963) |
Gli anni della formazione
GAETANO CATANOSO nacque a Chorio di San Lorenzo, nell’Arcidiocesi di Reggio
Calabria, il 14 febbraio 1879 da Antonio Catanoso e Antonina Tripodi,
agricoltori profondamente cristiani. Lo stesso giorno ricevette il Battesimo e
nel 1882 il sacramento della Confermazione.
All’età di dieci anni, avvertita la chiamata al sacerdozio, entrò nel Seminario
Arcivescovile di Reggio.
Terminato il periodo di formazione, fu ordinato sacerdote dal Cardinale Gennaro
Portanova, il 20 settembre 1902. In quella occasione manifestò pubblicamente il
proposito di voler essere un degno ministro di Cristo e ai parenti ed amici
domandò di pregare per lui affinché il Cuore di Gesù lo avesse condotto alla
santità. Fece allora la promessa di non commettere mai alcun peccato deliberato
e di stare alla presenza di Dio ogni istante della vita.
Parroco a Pentidattilo
Per due anni fu prefetto d’ordine in Seminario. Quindi, nel 1904, venne nominato
parroco di Pentidattilo, un piccolo paese dell’Aspromonte, dove prosperava la
povertà, l’analfabetismo, l’ignoranza religiosa e dove la gente viveva in
silenzio il dramma dell’emarginazione e talvolta della prepotenza. Il Catanoso,
senza attardarsi in teorizzazioni pastorali o sociologiche, si dedicò
immediatamente ed interamente alla missione di pastore, facendosi tutto a tutti.
Condivise le privazioni, i disagi, le gioie e le pene della sua gente.
Fin d’allora il popolo ravvisò in lui il carisma della paternità e
spontaneamente cominciò a chiamarlo «padre », appellativo che mai più lo avrebbe
abbandonato, perché meglio di ogni altro qualificava la sua personalità
sacerdotale e pastorale.
Fu diligente nell’annuncio della parola di Dio e nell’insegnamento della
dottrina cristiana, edificante nella celebrazione dei divini misteri, assiduo al
ministero delle Confessioni, generoso con le famiglie bisognose, premuroso con i
malati. Per i giovani, che non potevano frequentare le scuole pubbliche, aprì
una scuola serale gratuita ed egli ne fu l’insegnante.
Collaborò nella predicazione e nell’amministrazione del sacramento della
Penitenza con i parroci più vicini.
Missionario del Volto Santo
A Pentidattilo fu come incendiato dalla devozione al Volto sofferente del
Signore. Abbracciò la missione di diffonderne il culto tra il popolo e di
coinvolgere i sacerdoti e i laici nell’apostolato della riparazione dei peccati,
specialmente della bestemmia e della profanazione delle feste religiose. « Il
Volto Santo — affermava — è la mia vita. Lui è la mia forza »; ed ancora: «Gesù
ha bisogno di molte Veroniche per i peccati di bestemmia e di sacrilegio e di
molti Cirenei per la Croce sempre più pesante dei più poveri senza conforto e
senza aiuto ». Con una felice intuizione unì questa devozione alla pietà
eucaristica. Al riguardo scriveva: «La devozione al Volto Santo si incentra nel
sacro velo della Veronica dove nostro Signore impresse col suo preziosissimo
sangue i lineamenti della sua Faccia divina. È una reliquia preziosissima che la
Chiesa conserva e che noi adoriamo. Ma se vogliamo adorare il Volto reale di
Gesù, non l’immagine sola, questo Volto noi lo troviamo nella divina Eucaristia,
ove col Corpo e Sangue di Gesù Cristo si nasconde sotto il bianco velo
dell’ostia il Volto di Nostro Signore ». E siccome Cristo è presente anche in
ogni uomo che soffre, si sforzò di riportare l’immagine del Creatore sul volto
di tutti coloro che ne fossero privi a causa del peccato.
Nel 1918 divenne «Missionario del Volto Santo », iscrivendosi
all’Arciconfraternita di Tours. L’anno successivo istituì a Pentidattilo la Pia
Unione del Volto Santo e più tardi fondò un bollettino che diffondeva tale
devozione.
Promotore dell’Opera dei Chierici Poveri
Convinto che la rinascita spirituale e morale delle popolazioni calabresi non
sarebbe stata possibile senza l’attività pastorale dei sacerdoti, promosse
l’Opera dei Chierici Poveri, il cui scopo era quello di offrire ai giovani,
sprovvisti di mezzi, il necessario per poter raggiungere il Sacerdozio.
«Chiamiamo a raccolta — scriveva — tutte le nostre energie per dare alla Chiesa
molti e santi sacerdoti, aiutando le vocazioni povere. È specialmente nelle
nostre campagne dove si trovano i fiori più belli che aspettano la mano pietosa
che li raccolga e li trapianti nell’aiuola del Signore. Non sono dunque le
vocazioni che vengono a mancare, come vanno ripetendo alcuni che hanno il cuore
chiuso alla generosità ». Ed aggiungeva: «Ben volentieri vorrei si convertisse
in lagrime tutto il mio sangue, se con questo sacrificio potessi portare avanti
tante vocazioni povere, che domani diminuiranno il pianto della Chiesa, che è
madre delle anime, e il pianto di tante anime confortate dal ministero
sacerdotale ».
L’impegno pastorale a Reggio Calabria
Dal 1921 al 1940 fu parroco, nella città di Reggio, della Chiesa di Santa Maria
della Purificazione (detta anche della Candelora), dove, coadiuvato dal fratello
sacerdote, don Pasqualino, svolse un’attività ancora più intensa e più vasta.
Tra i suoi impegni, un posto preminente occuparono l’evangelizzazione, la
catechesi, le missioni al popolo, il culto dell’Eucaristia, il ministero delle
Confessioni, l’assistenza ai poveri, ai malati e ai perseguitati da associazioni
criminose, l’opera delle vocazioni sacerdotali, l’accoglienza di quanti
ricorrevano a lui. Non volle mai porre limiti al suo zelo apostolico e ben se ne
accorsero i suoi superiori che gli affidarono anche altri incarichi, spesso
alquanto gravosi: direttore spirituale del Seminario Arcivescovile (1922-1949),
cappellano degli Ospedali Riuniti (1922- 1933), confessore degli Istituti
Religiosi cittadini e del carcere (1921- 1950), canonico penitenziere della
Cattedrale (1940-1963), rettore della Pia Unione del Volto Santo, trasferita da
Pentidattilo a Reggio nel 1950, con decreto di Mons. Demetrio Moscato,
Arcivescovo di Salerno ed Amministratore Apostolico di Reggio e di Bova.
Fondatore delle Suore Veroniche del Volto Santo
Negli anni trascorsi nell’Aspromonte, il Catanoso era venuto a diretto contatto
con una difficile realtà sociale e religiosa. «Ancora nel lontano 1920 —
scriveva — visitando molti paesi sperduti sui monti della Calabria e predicando
in quasi tutte le parrocchie dell’Arcidiocesi, ho sentito una stretta al cuore
nel vedere tanti bambini innocenti esposti alla corruzione, tanti giovanetti
senza guida e senza orientamento nella vita, troppe chiese povere spoglie e
tanti tabernacoli senza il dovuto decoro. Sacerdoti sofferenti e senza
assistenza ». Cominciò così a concretizzarsi in lui il pensiero di dar vita ad
una congregazione religiosa femminile, che avesse propagato la devozione al
Volto Santo di Gesù e portato conforto ai sacerdoti più bisognosi ed aiuto alle
parrocchie più sperdute ed abbandonate. Nel 1934, pertanto, incoraggiato anche
da San Luigi Orione, che gli era amico da tempo, fondò le Suore Veroniche del
Volto Santo, che nel 1953 vennero canonicamente approvate dall’Arcivescovo
Giovanni Ferro e, successivamente, anche dalla Santa Sede. Egli stesso disse che
le sue suore dovevano essere «gente che sa parlare alla propria gente, che ama
il Signore in semplicità, che non chiede se nel paese dove è mandata c’è la casa
o il giardino. Gente che va senza pretendere nulla, che si sacrifica, che
soffre, che aiuta la Chiesa ». Aggiungeva: « Il vostro posto è quello che gli
altri hanno rifiutato, tra la gente più povera e più umile ». Secondo questi
criteri guidò il suo Istituto, aiutandolo a superare non poche difficoltà e ad
estendersi in varie parrocchie dell’Arcidiocesi di Reggio ed oltre.
Un tempio per il Signore
Per dare ulteriore sviluppo e vigore a quella devozione che era il fulcro della
sua spiritualità e del suo apostolato, progettò la costruzione di un tempio
dedicato al Volto Santo. Il sopraggiungere della morte non gli permise di
vederne la realizzazione. La Provvidenza, però, gli concesse molto di più; gli
concesse di poter fare della sua persona un tempio spirituale per il Signore
(cf. 2 Cor 6, 26), un vero santuario vivente, che fu un punto di riferimento per
l’intera città di Reggio.
A lui ricorrevano con fiducia gli Arcivescovi della città, i sacerdoti, le
suore, i seminaristi, i laici, che trattava sempre con tenerezza e cordialità.
Non spezzava la canna incrinata e non spegneva il lucignolo fumigante (cf. Mt
12, 20), invece incoraggiava tutti a lodare Dio con la propria vita e a vincere
il male con il bene.
Con i poveri, per i poveri
Autentico missionario del Vangelo, non si limitò a santificare se stesso, ma con
la parola, gli scritti e le opere dette una splendida testimonianza di fedeltà a
Cristo e promosse una pacifica e progressiva mobilitazione di anime,
concretamente ed umilmente impegnate a migliorare le condizioni religiose della
Calabria. Non restò indifferente neppure ai mali sociali, che sono la naturale
conseguenza del peccato. Quindi, con la forza della carità e dell’umiltà, cercò
di restituire ai poveri la loro dignità e di estirpare dalla società tutto ciò
che si oppone al disegno divino.
La centralità dell’Eucaristia e la devozione alla Madonna
Coltivò la sua vita interiore, riuscendo ad armonizzare la dedizione alle anime
con l’amore al raccoglimento e alla preghiera.
La Messa celebrata ogni giorno e la frequente adorazione del Sacramento
dell’altare furono l’anima del suo sacerdozio e il sostegno del suo apostolato.
Documento importante della centralità che l’Eucaristia ebbe nella sua vita è
l’«Ora eucaristica sacerdotale », da lui pubblicata per la prima volta nel 1915.
Praticò il sacrificio, la mortificazione e la penitenza. Accettò con pazienza le
malattie e la cecità che l’afflisse nell’ultimo scorcio di vita. Non solo evitò
attentamente ogni forma di peccato, ma fu un banditore instancabile
dell’apostolato della riparazione. Egli stesso, nel 1929, si offrì vittima al
Cuore di Gesù, desiderando di completare nella propria carne quello che manca ai
patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (cf. Col 1, 24).
Nutrì per la Vergine Maria una devozione semplice e fervorosa, che irradiò tra
le sue suore e il popolo.
Fin dalla fanciullezza aveva imparato a recitare quotidianamente il rosario e
continuò a farlo fino alla morte. La corona del rosario era sempre tra le sue
mani.
La morte
Anche nella vecchiaia, per quanto gli fu possibile, non tralasciò mai i suoi
doveri sacerdotali e i suoi impegni pastorali, mentre con grande serenità si
preparava all’incontro definitivo con Dio. Nell’ultima malattia spesso
sussultava di gioia esclamando: «Com’è bello il Signore! Com’è bello il Signore!
».
Con il conforto dei sacramenti, si spense santamente il 4 aprile 1963 a Reggio,
nella Casa Madre della Congregazione che lui aveva fondato.
Il clero e il popolo, che lo consideravano santo, parteciparono numerosi ai
solenni funerali, presieduti dall’Arcivescovo, il quale, avendolo ben
conosciuto, potè dire che il Padre Catanoso era stato «un piissimo sacerdote che
ha sempre insegnato nella sua lunga vita come si ama e si serve il Signore ».
Fu annoverato tra i Beati da Papa Giovanni Paolo II, il 4 maggio 1987.
Tratto da: www.vatican.va
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