Giuseppe Musolino (24/9/1876-22/1/1956) |
Taglialegna di mestiere, la sua storia inizia il 28 ottobre 1897 quando scoppia una rissa rusticana nell'osteria della Frasca, a Santo Stefano in Aspromonte
per una partita di nocciole: da un lato Musolino e Antonio Filastò,
dall'altro i fratelli Vincenzo e Stefano Zoccali, oltre un loro
compagno. Una rissa come tante: ma, il giorno dopo, qualcuno spara a
Vincenzo Zoccali, in una stalla, (dove viene trovato il berretto di
Musolino), che viene mancato per un soffio, ma rimane ferito.
Intervengono i carabinieri che arrestano il Filastò ed un tale Nicola
Travia. Bussano alla casa di Musolino. Non lo trovano, poiché è
scappato. Di lì a sei mesi, dalla guardia municipale Alessio Chirico,
Musolino è arrestato, tradotto a Reggio Calabria è processato per tentato omicidio.
Primo processo
Il 24 settembre 1898 al processo davanti alla Corte d'Assise di Reggio Calabria, nonostante le prove portate da Musolino non furono smentite le false testimonianze di Rocco Zoccali e Stefano
Crea, che affermarono di averlo sentito adirato per il bersaglio
fallito. Il 28 settembre la sentenza fu di 21 anni di carcere.
Sempre proclamatosi innocente, giura vendetta in caso di evasione, cantando il motivo della canzone del brigante Martino:
« Nd'ebbiru alligrizza chiddu jornu
quandu i giurati cundannatu m'hannu... ma si per casu a lu paisi tornu chidd'occhi chi arridiru ciangirannu » |
« N'ebbero allegrezza quel giorno
quando i giurati condannato m'hanno ma se per sorte al paese torno quegli occhi che risero piangeranno. » |
Inoltre a Zoccali avrebbe giurato che "avrebbe letteralmente mangiato il fegato o che ne avrebbe venduto la carne come animali da macello.
Carcere e latitanza
Viene condotto e recluso nel carcere di Gerace Marina, l'odierna Locri. Dopo due anni, alle ore 3:30 del 9 gennaio 1899 riesce a fuggire e inizia la sua vendetta. Si racconta che durante la galera Musolino avesse sognato San Giuseppe
che gli avrebbe indicato il punto in cui avrebbe dovuto scavare nella
cella, e con facilità scappare insieme ai suoi compagni di carcere:
Giuseppe Surace, Antonio Filastò e Antonio Saraceno.
Commette una serie di omicidi contro tutti quelli che l'hanno
accusato e tradito, nascondendosi poi tra le montagne, nei boschi, e
persino nei cimiteri (come a Roccaforte del Greco),
godendo dell'appoggio della gente del posto, sia contadini, caprari e
gente benestante, che lo vede come simbolo dell'ingiustizia in cui la
Calabria allora versava. Nei primi 8 mesi dalla fuga commette 5 omicidi e
4 tentati omicidi, e tentativo di distruzione con dinamite della casa
di Zoccali.
Iniziata la caccia al brigante,
viene posta una taglia di 5.000 lire su di lui, ma Musolino sfugge
sempre alla sua cattura. Una volta si tenta, tramite un certo Antonio
Princi di farlo addormentare drogando con l'oppio la pasta ma il
tentativo fallisce, Musolino ferisce il Princi e uccide il carabiniere
che stava nascosto dietro la siepe in attesa di arrestarlo. Un'altra
volta si cerca di fargli credere che potesse emigrare con una nave
attraccata a Capo Bruzzano ma egli non si reca all'appuntamento e successivamente scopre che non c'era nessuna nave e svela quindi l'inganno.
La sua notorietà in poco tempo si sparge in tutta Italia grazie alla stampa italiana e pure i giornali stranieri (Times, Le Figaro) iniziano a interessarsi della vicenda. La sua figura così diventa una sorta di leggenda, e le sue gesta diventano uno spunto per molte canzoni popolari (si ritrova nelle canzoni di Otello Profazio, Dino Murolo e Natino Rappocciolo, Enzo Laface e in altri cantanti folcloristici calabresi...).
Nel 1901 Musolino decide di lasciare la Calabria per andare a chiedere la grazia al nuovo re Vittorio Emanuele III e perché comunque la situazione diventava difficile per lui, pur coi suoi appoggi nell'area calabrese.
La cattura
Ad Acqualagna in provincia di Pesaro Urbino
però, viene per caso catturato da due carabinieri ignari della sua
identità, che riescono a raggiungerlo perché è inciampato in un fil di
ferro. I loro nomi erano: appuntato Amerigo Feliziani da Baschi e Antonio La Serra da San Ferdinando di Puglia, comandati dal brigadiere Antonio Mattei (padre di Enrico Mattei).
Musolino stava percorrendo un viottolo di campagna nella località di
Farneto, nelle vicinanze di Acqualagna; alla vista dei due carabinieri,
che si trovavano nella zona alla ricerca di alcuni banditi del luogo,
improvvisamente comincia a correre pensando che cercassero lui.
Inciampando però su un filo di ferro di un filare di viti, cade ed è
fermato.
Divenne famosa la frase:"Chiddu chi non potti n'esercitu, potti nu filu" (Quello in cui ha fallito un esercito, c'è riuscito un filo).
Il 17-18 ottobre del 1901
i giornali rendono pubblico l'evento. Dopo che Musolino viene
arrestato, il mattino del 22 ottobre 1901 è interrogato e quindi il 24 ottobre trasferito nel carcere di Catanzaro con un treno speciale, sotto la scorta di Alessandro Doria, Ispettore Generale delle Carceri Italiane.
Per la sua cattura si stima che il governo abbia speso un milione di lire, come viene riportato sul giornale:
« Si
presume che le spese complessive, per la dislocazione delle truppe
negli Abruzzi - che come è noto nell'inverno scorso raggiungevano quasi
due reggimenti - abbiano toccato le 500.000 lire, e a queste aggiungendo
le altre spese ingenti per lo spionaggio, per gli arresti numerosi e
per tutte le misure di P.S., si verrebbe a raggiungere e forse a
sorpassare la somma tonda di un milione. Nessun galantuomo ha mai costato tanto al Governo! » |
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(Da "La Tribuna Illustrata" del 27 ottobre 1901)
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Secondo processo
Il processo inizia il 14 aprile del 1902 alla Corte d'Assise di Lucca. Musolino chiede di essere difeso dai due migliori avvocati d'Italia del tempo (Corriere della Sera - 22/23 gennaio 1902).
Si rifiuta anche, per non dare una cattiva idea di sé all'opinione
pubblica, di indossare gli abiti da carcerato. Avrebbe detto, secondo Indagine su un bandito di Altobelli: "Ho
un abito di sedici lire il metro, e lo voglio indossare! Io sono un
uomo storico e non un delinquente qualunque bisogna perciò usarmi
riguardo", ma successivamente gli avvocati lo convincono del contrario. L'avvocato del brigante era un certo Dal Poggetto.
Musolino pronuncia questa autodifesa: "Se mi assolveste, il popolo
sarà contento della mia libertà. Se mi condannaste, fareste una seconda
ingiustizia come pigliare un altro Cristo e metterlo nel tempio. Eppoi,
vedete, io non sono calabrese, ma di sangue nobile di un principe di
Francia. Chi condannate? Un cadavere, perché io posso avere cinque o sei
mesi di vita al più". Parole che diverranno celebri ma che comunque non gli evitano l'ergastolo al carcere di Portolongone e otto anni in segregazione cellulare. La sentenza viene emanata l'11 luglio 1902 alle 20:50.
Durante il processo vende alla stampa alcune sue poesie.
Dopo il processo
Solo nel 1933
un certo Giuseppe Travia, che era emigrato in America dopo l'evento
iniziale di Santo Stefano, confessa di essere stato lui a sparare a
Vincenzo Zoccali, discolpando così Musolino del primo delitto.
Resta in carcere fino al 1946, quando gli verrà riconosciuta l'infermità mentale, e poi portato al manicomio di Reggio Calabria,
dove muore dieci anni dopo alle 10:30 del 22 gennaio, dopo avere
attentato, con un rudimentale coltello, alla vita di un infermiere.
Fonte: Wikipedia
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