Don Natale Meli Puparo |
Il teatrino di Reggio Calabria di Natale Meli
Natale Meli, puparo catanese, si trasferì a Reggio Calabria nel 1933 dove creò un piccolo (ma frequentato) teatro di marionette,”L’Opera dei Pupi”, che proseguì l’attività sin ai primi anni ’60.
I suoi spettacoli in breve conquistarono il pubblico cittadino, che assisteva numeroso alle rappresentazioni; un pubblico eterogeneo: dai bambini vocianti agli studenti, dai popolani ai raffinati aristocratici, tutti assistevano divertiti alle esibizioni dei “Pupi”, parteggiando per l’uno o per l’altro ma soprattutto, e in questo Don Natà era unico, interloquendo con lui, il “mastro-puparo”.
L’opera dei Pupi deriva dall’antica tradizione dei cantastorie; spesso analfabeti, i pupari conoscevano a memoria opere come L’Orlando Furioso e La Gerusalemme Liberata, che adattavano alle esigenze di un pubblico desideroso di divertimento facile. Le marionette, i famosi “pupi”, erano realizzate artigianalmente, con grande dovizia di particolari: Natale Meli realizzava da sé le sue creature, aiutato dal lavoro di cesello di Giovanni Bruno, detto “L’argenteri”, originario di Messina.
Lo svolgimento delle storie era semplice e manicheo: da un lato i cristiani, i “buoni”, capeggiati da Orlando o da Rinaldo, eroi protagonisti, solitamente impegnati a salvare la bella Angelica dai musulmani Rodomonte o Ferraù, cui dava manforte l’odiato traditore Gano di Maganza.
Natale Meli muoveva le marionette prestando loro anche la voce, cambiando tonalità per ognuno; ma sin dalle prime esibizioni a Reggio la sua indole Siciliana, impregnata di quell’epica realista, di quel cinismo magico che contraddistingue l’isola, si scontrò con la concretezza popolana dei calabresi.
Perciò quando entrava in campo il prode Orlando, lui decantava:- “… con la sua Durlindana Orlando spazzò via più di cinquanta saracini”- e qualcuno dal pubblico gli urlava: -“Scala Don Natale!”-; e lui, ironicamente: -“Quaranta saracini, spazzò via !-” E sempre, dal pubblico, più voci:- “Scala Don Natale !”- E lui -“...Trenta saracini, trenta schifosi (ingiuriava i cattivi, con grandi risate del pubblico) furono spazzati via…- Dal pubblico continuavano:- “Scala Don Natale !”- Fin quando non arrivava a una cifra congrua, sotto la quale non scendeva più: “Spazzò via dieci saracini, meno di questi non posso fare…” diceva.
Gli schiamazzi e il divertimento erano assicurati, nel teatrino, che sorgeva tra Piazza Carmine e Piazza Sant’Agostino; quando si rese conto che interloquendo col pubblico, di grana grossa, lo spettacolo ne guadagnava, Don Natale ne fece un punto di forza e di successo.
-“Prenditi questo, traditore di un Gano di Maganza, schifoso infetele (le sue D erano quasi tutte T) scustumatu e villanu” –faceva dire al suo eroico Orlando. E dal pubblico- “il sangue, Don Natale, non c’è sangue !”- E lui -“Cretino, non vedi che è anemico!”-
I modi di dire si diffusero in città. Ancora oggi le anziane nonne dicono ai nipotini “Non fare l’opera !” riferendosi appunto all’Opera dei Pupi. Ma la frase che per anni entrò nel vocabolario dei Reggini fu proprio quel “Scala Don Natale”, detto a chiunque la sparasse grossa senza vergogna.
A inizio anni 60 il teatrino fu spazzato via da cinema, televisione e modernità. Don Natale se ne girava in bici per la città assistendo al tramonto di un’era, con sempre in testa la voglia di ricominciare. Ma tutto finì.
E oggi anche quella frase, di fronte a tante sparate, a tante roboanti promesse, a così colossali panzane, sta finendo nel dimenticatoio, con i reggini sempre più a bocca aperta ad ammirare il teatro dei pupi, convinti che sia verità assoluta e pronti a crederci, con la bocca aperta dei bambini.
I suoi spettacoli in breve conquistarono il pubblico cittadino, che assisteva numeroso alle rappresentazioni; un pubblico eterogeneo: dai bambini vocianti agli studenti, dai popolani ai raffinati aristocratici, tutti assistevano divertiti alle esibizioni dei “Pupi”, parteggiando per l’uno o per l’altro ma soprattutto, e in questo Don Natà era unico, interloquendo con lui, il “mastro-puparo”.
L’opera dei Pupi deriva dall’antica tradizione dei cantastorie; spesso analfabeti, i pupari conoscevano a memoria opere come L’Orlando Furioso e La Gerusalemme Liberata, che adattavano alle esigenze di un pubblico desideroso di divertimento facile. Le marionette, i famosi “pupi”, erano realizzate artigianalmente, con grande dovizia di particolari: Natale Meli realizzava da sé le sue creature, aiutato dal lavoro di cesello di Giovanni Bruno, detto “L’argenteri”, originario di Messina.
Lo svolgimento delle storie era semplice e manicheo: da un lato i cristiani, i “buoni”, capeggiati da Orlando o da Rinaldo, eroi protagonisti, solitamente impegnati a salvare la bella Angelica dai musulmani Rodomonte o Ferraù, cui dava manforte l’odiato traditore Gano di Maganza.
Natale Meli muoveva le marionette prestando loro anche la voce, cambiando tonalità per ognuno; ma sin dalle prime esibizioni a Reggio la sua indole Siciliana, impregnata di quell’epica realista, di quel cinismo magico che contraddistingue l’isola, si scontrò con la concretezza popolana dei calabresi.
Perciò quando entrava in campo il prode Orlando, lui decantava:- “… con la sua Durlindana Orlando spazzò via più di cinquanta saracini”- e qualcuno dal pubblico gli urlava: -“Scala Don Natale!”-; e lui, ironicamente: -“Quaranta saracini, spazzò via !-” E sempre, dal pubblico, più voci:- “Scala Don Natale !”- E lui -“...Trenta saracini, trenta schifosi (ingiuriava i cattivi, con grandi risate del pubblico) furono spazzati via…- Dal pubblico continuavano:- “Scala Don Natale !”- Fin quando non arrivava a una cifra congrua, sotto la quale non scendeva più: “Spazzò via dieci saracini, meno di questi non posso fare…” diceva.
Gli schiamazzi e il divertimento erano assicurati, nel teatrino, che sorgeva tra Piazza Carmine e Piazza Sant’Agostino; quando si rese conto che interloquendo col pubblico, di grana grossa, lo spettacolo ne guadagnava, Don Natale ne fece un punto di forza e di successo.
-“Prenditi questo, traditore di un Gano di Maganza, schifoso infetele (le sue D erano quasi tutte T) scustumatu e villanu” –faceva dire al suo eroico Orlando. E dal pubblico- “il sangue, Don Natale, non c’è sangue !”- E lui -“Cretino, non vedi che è anemico!”-
I modi di dire si diffusero in città. Ancora oggi le anziane nonne dicono ai nipotini “Non fare l’opera !” riferendosi appunto all’Opera dei Pupi. Ma la frase che per anni entrò nel vocabolario dei Reggini fu proprio quel “Scala Don Natale”, detto a chiunque la sparasse grossa senza vergogna.
A inizio anni 60 il teatrino fu spazzato via da cinema, televisione e modernità. Don Natale se ne girava in bici per la città assistendo al tramonto di un’era, con sempre in testa la voglia di ricominciare. Ma tutto finì.
E oggi anche quella frase, di fronte a tante sparate, a tante roboanti promesse, a così colossali panzane, sta finendo nel dimenticatoio, con i reggini sempre più a bocca aperta ad ammirare il teatro dei pupi, convinti che sia verità assoluta e pronti a crederci, con la bocca aperta dei bambini.
di Antonio Calabrò pubblicato sul gruppo fb Gruppo Morgana Reggio Calabria
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Nella nostra città un po' alla Villa Comunale Umberto Primo, un po' nelle baracche dei rioni minimi ed in ultimo, fine anni '50, in un teatro stabile baraccato (ex deposito di legnami Placanica) quasi alle spalle della nota Piazza Carmine, in Via Agamennone Spanò, incrocio angolo Via Cimino, il teatro dei pupi e le loro gesta epiche al tempo dei crociati : " L'OPIRA RI PUPI "
Questa l'espressione dialettale reggina che raggruppa tutti i teatri del genere nella persona di Natale Meli, comunemente DON NATALI, l'uomo che seppe inculcare agli abitanti di Reggio Calabria, a quelli poveri di cultura specifica, il poema, di Torquato Tasso, La Gerusalemme Liberata : "Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i Mori d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l'ire e i giovenil furori d'Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troiano sopra re Carlo imperator romano. Dirò d'Orlando in un medesmo tratto....."
Prima del terremoto, dunque, Peppino Meli, catanese d'origine ma messinese d'adozione, aveva divulgato lo spettacolo dei pupi a Reggio e in altri centri calabresi. Dopo circa vent'anni dalla sua morte (1908), il figlio Natale ne continuò l'attività fino all'inizio degli anni '60, facendo spola per alcuni decenni tra le due sponde dello stretto e proponendo spettacoli all'utenza di entrambe le regioni. Però fece la sua stabile abitazione e ultima dimora a Reggio Calabria, nel 1933, in Via Gaspare Del Fosso, prima dell'imbocco di Via Frà Gesualdo Melacrinò, strada che sfocia in Piazza Sant'Agostino; sposò una donna reggina da cui ebbe una miriade di figli. Quando l'attività di DON NATALI come puparo non rendeva più, erano gli anni '50, con gli ultimi soldi a disposizione e con debiti, acquistò tre "PIANINI" su ruote, con carica musicale a manovella e relativi canzonieri da distribuire a pagamento per le strade di Reggio, attività svolta prevalentemente sul Corso Garibaldi. Personalmente ricordo gli episodi di esagerazione per aver assistito ad uno dei suoi spettacoli nel dopoguerra, davanti ad un improvvisato palco alle spalle della scuola elementare E. De Amicis, davanti al cancello centrale della vecchia Fiera Internazionale Agrumaria che poi divenne "mercati generali ortofrutticoli". Quella sera le battaglie e le legnate erano particolarmente cruente e "Don Natali" si dava da fare per attirare l'attenzione dei pochi spettatori, quasi tutti ragazzini come me, che viveno e ripetevano le azioni di Orlando e Rinaldo prima che il puparo le attuasse, sapevano tutto a memoria. "E Orlandu, cu' 'nu corpu di Durlindana(la sua personale spada), ammazzàu centu guerrieri".... e un coro unanime : "Scala Don Natali".... "cinquanta guerrieri"... "scala Don Natali".... "vinticincu guerrieri"... "scala Don Natali"..."deci guerrieri".... "scala Don Natali".... "cincu guerrieri"... "scala Don Natali"... "ALLURA ORLANDU, CU' 'NU CORPU DI DURLINDANA, AMMAZZAU A TUTTI VUI FIGGHI 'I BUTTANA !".
Quando, invece, se ne usciva con gli uomini armati che facevano da scorta ad Angelica, il discorso non cambiava : "Centu òmini accumpagnavanu Angelica".... e il coro dei ragazzini : "Scala Don Natali"... "cinquanta"... "scala Don Natali"... "vinticincu"... "scala Don Natali" .... "deci"... "scala Don Natali"... "cincu"... "scala Don Natali"... "un sulu guerrieru"... "scala Don Natali".... "A 'STU PUNTU NENTI SCORTA...PIRCHI I VOSTRI MAMMI NESCINU SULI NTE VINEDDHI PI' FARI 'I BUTTANI".
di Uzituri su video youtube
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